L’importanza del ginocchio
per la tua qualità di vita

Il ginocchio è indiscutibilmente una delle articolazioni più fondamentali del nostro corpo, poiché la sua funzionalità incide direttamente sulla nostra qualità di vita. Purtroppo, il ginocchio può essere soggetto a varie minacce, tra cui artriti infiammatorie, patologie reumatiche, traumi, malformazioni e disordini metabolici, che possono compromettere gravemente il suo stato e persino portare allo sviluppo dell’artrosi.

L’artrosi del ginocchio, nota come gonartrosi, è un problema diffuso nella società occidentale. Questa condizione patologica provoca dolore e limita significativamente la nostra capacità di movimento. Nelle fasi avanzate, può causare dolore cronico e gravi difficoltà nella semplice azione di camminare.

Quando le terapie conservatrici non portano i risultati desiderati, soprattutto nei casi più gravi,
l’intervento chirurgico diventa un’opzione importante e consigliata.

Anatomia del ginocchio

Il ginocchio è la più grande articolazione del corpo, classificata come articolazione a cerniera in quanto permette i movimenti in flesso-estensione. Tuttavia, a differenza del gomito, non è una vera e propria cerniera poiché consente una rotazione che accompagna la flessione e l’estensione.Il ginocchio è un’articolazione complessa,(fig. 1) funzionalmente suddivisa in tre compartimenti: il mediale (parte interna del ginocchio), il laterale (parte esterna), il femoro-rotuleo (parte anteriore).

fig. 1, articolazione del ginocchio, sezione sagittale

Si stabilisce tra i due condili del femore e le due cavità poco profonde del piatto tibiale (la porzione articolare della tibia). La rotula o patella (fig. 2) ricorda un triangolo rovesciato ed è posta anteriormente, al confine tra tibia e femore: scorrendo con il lato articolare nell’incavo tra i due condili (gola intercondiloidea) costituisce una seconda articolazione. Il bordo superiore della rotula è la sede d’inserzione del tendine del quadricipite: esso la avvolge completamente fino sotto l’apice e prosegue formando il legamento patellare (o tendine rotuleo) che la collega alla tibia. (fig. 2)
Il perone, posto lateralmente alla tibia, di fatto non partecipa all’articolazione.

fig. 2, articolazione del ginocchio

Le superfici articolari sono ricoperte dalla cartilagine, uno strato di tessuto connettivo resistente ed elastico, che le preserva dall’attrito. Tra i condili e il piatto tibiale si interpongono i due menischi, (fig. 2a) importanti strutture di fibrocartilagine che conferiscono congruenza articolare e ammortizzano il carico sulle cartilagini, inoltre, ampliando la superficie di contatto, distribuiscono il carico in modo uniforme.

fig. 2a, Piatto tibiale destro con menischi e legamenti crociati

La capsula articolare, una guaina di tessuto connettivo fibroso, avvolge interamente l’articolazione e la stabilizza. I legamenti sono fondamentali per la stabilizzazione del ginocchio: sono robusti cordoni (o nastri) fibrosi che uniscono le ossa, regolano e impediscono il movimento eccessivo dei capi articolari durante i movimenti. I più importanti sono i due legamenti crociati (fig. 2a) alloggiati all’interno del ginocchio, e i due legamenti collaterali, posizionati ai lati. Le fasce muscolari provvedono ai movimenti e con la loro forza dinamica concorrono alla stabilizzazione dell’articolazione.

La capsula articolare al suo interno è rivestita da una membrana di tessuto connettivo, la membrana sinoviale. Questa membrana avvolge le porzioni dei capi articolari contenute dalla capsula (eccetto le superfici articolari ricoperte di cartilagine) e secerne il liquido sinoviale, viscoso e denso, che ha la duplice funzione di lubrificare e nutrire l’articolazione.

Numerose borse sierose (vescicole di liquido sinoviale) favoriscono lo scivolamento dei tessuti durante i movimenti e ammortizzano gli attriti.

ALCUNE PATOLOGIE ARTICOLARI DEL GINOCCHIO
Le patologie articolari del ginocchio sono numerose e dovute a molteplici cause. Tra queste si osservano patologie articolari degenerative causate dall’usura dell’articolazione, patologie articolari infiammatorie, alcune delle quali sono legate a processi autoimmuni, patologie traumatiche come fratture e lussazioni e patologie post-traumatiche (in esito a traumi).

Queste patologie, seppure molto diverse tra loro (livello di gravità, cause, decorso), hanno in comune alcune caratteristiche: causano dolore, limitano i movimenti e possono comportare gravi danni a carico delle articolazioni. Alcune di queste patologie, negli stadi avanzati, possono rivelarsi invalidanti e inficiare la qualità della vita.
Osteoartrosi

L’artrosi del ginocchio o gonartrosi è molto diffusa nel mondo occidentale. Le conformazioni del ginocchio in varo (nel linguaggio comune chiamate ginocchia a parentesi) e in valgo (ginocchia a X), così come l’instabilità articolare, sono importanti fattori di rischio che, in base alla gravità, influiscono sullo sviluppo dell’artrosi.

L’osteoartrosi, detta anche artrosi, è una patologia degenerativa cronica che colpisce le articolazioni ed è caratterizzata dalla progressiva distruzione della cartilagine. Questo processo degenerativo coinvolge l’articolazione nel suo complesso.

L’artrosi è la più frequente tra le patologie reumatiche, è molto diffusa nel mondo occidentale e colpisce più di frequente le donne. I sintomi dell’artrosi esordiscono intorno ai 50 anni rendendo manifesta la malattia rimasta asintomatica per lungo tempo. L’artrosi può colpire anche soggetti giovani, in seguito a traumi, sovraccarico funzionale, in presenza di malformazioni e di alcune patologie predisponenti.

Classificazione

La classificazione più comune distingue l’artrosi primaria (idiopatica) e l’artrosi secondaria.

Non si conoscono cause specifiche correlate allo sviluppo dell’artrosi primaria, esordisce intorno ai 50 anni, dimostra una predisposizione genetica e può interessare più articolazioni. Dell’artrosi secondaria invece, si conoscono gli eventi e le patologie a cui è correlata, ad esempio traumi, malformazioni ed altre patologie predisponenti.

Questa distinzione può risultare riduttiva in quanto alcuni aspetti della malattia sono potenzialmente riconducibili sia all’artrosi primaria sia all’artrosi secondaria. Una classificazione più specifica sarà possibile quando le conoscenze sull’artrosi saranno più progredite.

Cartilagine

L’artrosi è caratterizzata dalla degradazione della cartilagine, dell’osso e delle altre strutture articolari.

La cartilagine articolare è un tessuto connettivo specializzato, elastico e molto resistente, levigato, di colore bianco perlaceo. La cartilagine riveste interamente le superfici articolari, le preserva dall’attrito durante i movimenti, consente il fluido scivolamento dei capi articolari e ammortizza il carico. La cartilagine non è vascolarizzata per cui le sue capacità rigenerative sono molto scarse e il nutrimento è fornito dal liquido sinoviale.

Cause e fattori di rischio

L’artrosi si sviluppa in età e con tempi diversi, in presenza di differenti condizioni e stati patologici predisponenti. Le lesioni cartilaginee, di differente gravità, coinvolgono tutte le strutture articolari con specifiche alterazioni. La causa prima dell’artrosi non è ancora certa.

L’età avanzata può comportare l’usura della cartilagine come conseguenza dell’uso prolungato dell’articolazione. L’invecchiamento di per sé non è causa di artrosi, tuttavia determina un indebolimento della cartilagine che la predispone alle lesioni: perde progressivamente elasticità e resistenza all’attrito e non essendo più in grado di sostenere i carichi sviluppa lesioni più o meno gravi.

Il sovraccarico funzionale dovuto all’uso eccessivo di una o più articolazioni (sforzi e movimenti ripetitivi richiesti in alcune attività lavorative e sportive) genera microtraumi che nel tempo possono causare l’usura delle cartilagini; in questi casi l’artrosi può colpire anche soggetti giovani.

I traumi come fratture, lussazioni e gravi distorsioni, le malformazioni (displasia dell’anca, deformità assiali in varo e in valgo del ginocchio), possono determinare l’incongruenza delle superfici articolari (non sono più perfettamente aderenti) per la quale i carichi non si distribuiscono in modo uniforme sulle superfici articolari, inoltre, durante i movimenti si genera un attrito anomalo che stressa la cartilagine provocandone l’usura precoce. I traumi possono causare instabilità articolare e, più raramente, lesioni dirette alla cartilagine.

Numerose altre patologie possono alterare la meccanica e la biologia delle strutture articolari e comportare il progressivo deterioramento della cartilagine, anche precoce. Alcuni esempi: patologie metaboliche ed endocrine, come diabete, obesità, iperparatiroidismo; patologie osteoarticolari come necrosiasettica, spondiloartrite; artriti settiche; artriti infiammatorie (artrite reumatoide, artrite psoriasica); artriti da cristalli (gotta); alcune malattie ereditarie (sindrome di Ehlers-Danlos, emocromatosi, sindrome di Marfan).

Sviluppo dell’artrosi

La cartilagine danneggiata si assottiglia progressivamente fino a esporre, con gradualità, l’osso sottostante. L’osso reagisce al processo degenerativo addensandosi (sclerosi), molto spesso produce piccole formazioni appuntite (osteofiti) lungo i margini delle superfici articolari e piccole cavità ossee (pseudocisti o geodi). Il processo degenerativo coinvolge le altre strutture articolari: la membrana sinoviale si ispessisce, la capsula diviene fibrotica. Anche i legamenti possono diventare fibrotici e retratti, i menischi possono lesionarsi. I muscoli, per la diminuita funzionalità, perdono forza, massa e tono. L’articolazione è dolorante, tumefatta e rigida. Nei casi più avanzati si osservano deformità e severa limitazione funzionale.

Le articolazioni più colpite dall’artrosi sono quelle maggiormente sottoposte a carico: ginocchio, anca, spalla, mani, piedi e colonna vertebrale.

Prevenzione

Adottare un corretto stile di vita consente di controllare alcuni fattori di rischio che favoriscono l’artrosi: mantenere il peso forma; evitare posture scorrette, carichi eccessivi e ripetuti, attività sportive ad alto impatto sull’articolazione; praticare regolarmente una moderata attività fisica per mantenere la muscolatura forte e tonica; non fumare; seguire una dieta varia ed equilibrata.

Qualora l’artrosi sia presente, a maggior ragione sarà importante osservare regole salutari e praticare una attività fisica adeguata, per non agevolare il processo artrosico e per mantenere in forma l’organismo nel suo complesso.

Non esistono, ad oggi, trattamenti risolutivi per l’artrosi e quando le terapie farmacologiche, la fisioterapia e la chirurgica conservativa non sono più efficaci, si può ricorrere alla sostituzione dell’articolazione con una protesi.

Artrosi post-traumatica del ginocchio

L’artrosi post-traumatica del ginocchio è una diffusa patologia degenerativa cronica che si sviluppa in seguito a traumi ad alta energia (incidenti stradali, infortuni lavorativi e sportivi) che hanno provocato lussazioni, distorsioni, fratture, lesioni e lassità dei legamenti e della capsula articolare, lesioni della cartilagine e dei menischi.

In molti casi dopo un trauma le strutture delle articolazioni non guariscono perfettamente, ad esempio le fratture possono generare anomalie della meccanica articolare, oppure lesioni alla capsula, ai legamenti e ai menischi possono comportare instabilità di vario grado. Si può determinare una incongruenza delle superfici articolari -dei condili femorali e del piatto tibiale così come della rotula con la sede di scorrimento- che non sono più perfettamente aderenti, ad esempio a causa di esiti di fratture o per instabilità. La perdita della congruenza determina una irregolare distribuzione dei carichi sulle superfici articolari e produce un “attrito anomalo” durante i movimenti. Tutto questo causa il deterioramento progressivo della cartilagine e conseguente sviluppo dell’artrosi.

L’artrosi post-traumatica può manifestarsi anche diversi anni dopo l’evento traumatico.

Instabilità articolare del ginocchio

L’articolazione del ginocchio è molto stabile e nello stesso tempo è dotata di una notevole mobilità controllata che permette l’appoggio sicuro del piede nelle più disparate circostanze. La compresenza di stabilità e mobilità è dovuta soprattutto alla funzione stabilizzante dei legamenti, in particolare dei legamenti crociati e collaterali, che controllano i movimenti in flessione, estensione e rotazione. La capsula articolare, avvolgendo l’articolazione, esercita un’importante azione stabilizzante, così come i muscoli con la loro forza dinamica.

L’instabilità del ginocchio è determinata da una eccessiva libertà di movimento dei capi articolari che può provocare, come estrema conseguenza, la lussazione delle articolazioni. L’eccessivo movimento è causato da patologie delle strutture di contenimento dell’articolazione: lassità e lesioni dei legamenti e della capsula, lesioni dei menischi, a volte dei tendini e dei muscoli. Queste patologie insorgono soprattutto in seguito a traumi come fratture, lussazioni, gravi distorsioni, in seguito a microtraumi ripetuti dovuti a sovraccarico funzionale e in presenza di anomalie ossee come ad esempio in alcuni casi di instabilità della rotula. La lassità può anche essere congenita. La rotula instabile non è allineata con il solco di scorrimento e si sposta lateralmente determinando un attrito che può essere molto doloroso (sindrome femoro-rotulea). Nella maggioranza dei casi l’instabilità rotulea è causata dal deficit del quadricipite, in misura minore da sovraccarico funzionale, anomalie ossee, lassità e lesioni legamentose, ecc. Questa patologia può portare alla sublussazione o lussazione della rotula.

Nel ginocchio instabile i condili femorali e il piatto tibiale, così come la rotula per l’articolazione femoro-rotuluea, perdono il perfetto allineamento e questo può causare la progressiva distruzione della cartilagine e conseguente artrosi. L’instabilità del ginocchio può favorire altri traumi (lussazione o sublussazione, distorsioni) che, in un circolo vizioso, danneggiano ulteriormente le strutture di contenimento. Si può determinare un’instabilità legamentosa cronica del ginocchio che permane anche diversi anni dopo il trauma. Anche la rotula si può sublussare o lussare.

L’instabilità del ginocchio è frequente tra gli sportivi (rugby, sci, calcio, corsa, atletica, ecc.) e le lesioni dei legamenti ne sono la causa principale. Si osservano vari livelli di gravità, in base alla sede e alla dimensione (parziale o totale) della lesione legamentosa, al numero di legamenti lesionati e in base alla presenza di lesioni associate di capsula e menischi. Anche l’instabilità è più frequente tra gli sportivi.

I trattamenti per l’instabilità del ginocchio variano in base al tipo di lesione, ad esempio in artroscopia si possono trattare lesioni dei legamenti e della capsula mentre l’instabilità rotulea nella maggior parte dei casi richiede trattamenti conservativi, soprattutto la fisioterapia. La fisioterapia è fondamentale per riequilibrare la funzionalità dell’arto e per rafforzare e tonificare i muscoli che concorrono a stabilizzare il ginocchio. Una adeguata muscolatura, inoltre, è molto importante nella prevenzione dell’instabilità del ginocchio, in special modo per gli sportivi.

Artrite reumatoide

Le grandi articolazioni dell’anca, del ginocchio e della spalla possono essere colpite dall’artrite reumatoide.

L’artrite reumatoide è la più frequente tra le artriti infiammatorie croniche, è di natura autoimmune e colpisce prevalentemente le donne tra 40 e 50 anni.

La membrana sinoviale riveste interamente le articolazioni ed è l’oggetto principale del processo autoimmune che, attivando cellule infiammatorie e autoanticorpi, sviluppa un’infiammazione (sinovite) acuta che si auto-mantiene e cronicizza. Con l’aggravarsi del processo infiammatorio la membrana si ispessisce e forma un nuovo tessuto molto vascolarizzato (panno articolare) ricco di enzimi che degradano progressivamente le cartilagini ed erodono l’osso sottostante.

L’infiammazione danneggia anche i tendini, i legamenti e la capsula articolare. La malattia tende a colpire altre piccole articolazioni, la colonna vertebrale e le grandi articolazioni del ginocchio, della spalla e dell’anca. In alcuni casi l’artrite reumatoide coinvolge anche altri tessuti e organi come la cute, i polmoni e l’occhio. La patologia presenta vari livelli di gravità in base al periodo in cui si sviluppano le erosioni ossee, alla loro gravità e diffusione.

L’esordio dell’artrite reumatoide è molto diversificato e i sintomi rispecchiano la gravità della malattia. Generalmente all’inizio colpisce le piccole articolazioni delle mani e dei polsi, spesso con interessamento simmetrico (a destra e a sinistra) per poi progredire coinvolgendo altre articolazioni. I sintomi principali sono il dolore, la caratteristica rigidità duratura al mattino, tumefazione e limitazione funzionale. Con la progressione della malattia il dolore è più persistente ed i movimenti sono più difficoltosi. Negli stadi avanzati si osservano deformità delle articolazioni e, spesso, la perdita totale della flessibilità articolare (anchilosi).

Nella maggioranza dei casi l’artrite reumatoide presenta una lenta evoluzione in cui si alternano fasi attive a periodi di quiescenza. Nelle forme aggressive si riscontra una rapida progressione delle lesioni articolari. Si osserva, inoltre, una minoranza di forme benigne autolimitanti.

I trattamenti sono volti a rallentare il processo infiammatorio, ad alleviare i sintomi e, nei casi possibili, a provocare la regressione dell’infiammazione.

Necrosi avascolare

La necrosi avascolare, detta anche osteonecrosi, colpisce aree ossee delimitate, in particolar modo la superficie articolare delle estremità (epifisi) delle ossa lunghe, molto spesso con interessamento simmetrico (a destra e a sinistra).

La necrosi avascolare si verifica per il mancato afflusso di sangue al tessuto osseo che causa la morte delle cellule per assenza di nutrimento e ossigeno. Il processo necrotico determina piccole fratture localizzate che destrutturano il tessuto osseo fino a comportare, nel tempo, il collasso (crollo) dell’osso.

La diagnosi precoce della malattia consente di ricorrere ai trattamenti possibili, con risultati spesso soddisfacenti. Quando non trattata o quando i trattamenti non raggiungono i risultati sperati, la necrosi avascolare comporta lo sviluppo dell’artrosi.

L’articolazione dell’anca è in assoluto la più colpita da questa patologia, seguita, in misura minore, da ginocchio, spalla, polso, caviglia, mandibola. La necrosi avascolare colpisce anche altre articolazioni e regioni ossee non articolari.

Le patologie e le condizioni correlate allo sviluppo della necrosi avascolare sono molteplici: fratture, lussazioni e lesioni dei vasi sanguigni sono di origine traumatica; tra le più frequenti si osservano terapie cortisoniche a lungo termine e alcolismo; seguono chemioterapia, radioterapia, embolie, lupus eritematoso, anemia falciforme, trombosi, HIV, cirrosi epatica, morbo di Crohn, diabete, ecc.

Nel ginocchio l’osteonecrosi colpisce soprattutto il condilo mediale, a volte il condilo laterale, raramente il piatto tibiale. Il sintomo di esordio più frequente è un dolore improvviso che peggiora con i movimenti. Nelle fasi iniziali della malattia si può ricorrere a trattamenti incruenti: farmaci, terapie con onde d’urto e campi elettromagnetici, camera iperbarica. Sempre nelle fasi iniziali, soprattutto in assenza di collasso dell’osso, può essere indicato l’intervento chirurgico. Gli interventi possibili sono numerosi e mirano a ristabilire l’afflusso di sangue ed a stimolare la rigenerazione dell’osso, tra questi i più eseguiti sono gli interventi di decompressione dei condili e il trapianto osseo.

Nei casi non trattati o che non rispondono positivamente alle cure, la destrutturazione dell’osso determina il collasso del condilo e conseguente sviluppo della gonartrosi.

Quali sono i sintomi dell’artrosi del ginocchio?
  • All’inizio si può avvertire un dolore diffuso al ginocchio, non costante.
  • Dolore e gonfiore risultano accentuati dopo un periodo di inattività, specialmente al mattino.
  • Si può avvertire una sensazione di debolezza dell’arto associata ad una limitazione del ROM (Range Of Motion: l’ampiezza massima di movimento, misurata in gradi, che l’articolazione può raggiungere).
  • Con l’aggravarsi della malattia si può avvertire un dolore acuto nell’eseguire i movimenti che rende difficile svolgere le più semplici attività quotidiane come camminare, accucciarsi, lavarsi, vestirsi, alzarsi da una sedia.
  • Nelle fasi avanzate può determinarsi un disallineamento del ginocchio in varo o in valgo.
  • Il dolore aumenta salendo e scendendo le scale e dopo aver camminato per brevi tratti.
  • Il dolore, da moderato ad acuto, si può avvertire anche a riposo e a volte può impedire il sonno.
  • I cambiamenti meteorologici possono accentuare l’intensità del dolore.
Trattamenti dell’artrosi del ginocchio

I trattamenti dell’artrosi del ginocchio sono volti ad alleviare il dolore ed a rallentare il processo artrosico.

  • Nella fase iniziale la malattia è trattata con farmaci antidolorifici e antiinfiammatori
  • Sono consigliati integratori alimentari a base di condroprotettori, da assumere a periodi.
  • Sono indicate infiltrazioni intra-articolari con acido ialuronico (condroprotettore) volte a rallentare la degenerazione della cartilagine.
  • Si consiglia di evitare le attività fisiche ad alto impatto sull’articolazione e di interrompere quelle attività che causano dolore durante o dopo l’esercizio.
  • Fisiokinesiterapia e una moderata attività fisica a basso impatto sull’articolazione del ginocchio (nuoto) sono molto importanti per rafforzare i muscoli e per mantenere la mobilità articolare.
  • In alcuni casi si eseguono infiltrazioni intra-articolari con cortisone.
  • Il calo ponderale è fondamentale per diminuire il carico sull’articolazione.
  • L’utilizzo delle stampelle è utile per diminuire il carico durante i movimenti.

Quando farmaci, terapie intra-articolari, trattamenti artroscopici e fisioterapia non sono più efficaci, nei casi più gravi si propone la sostituzione parziale o totale dell’articolazione del ginocchio. L’intervento è volto a eliminare il dolore e a recuperare la mobilità dell’arto. È importante che l’intervento venga pianificato in accordo tra il paziente e la sua famiglia, il medico di base e il chirurgo ortopedico.

Impianti protesici del ginocchio

Le moderne tecniche chirurgiche e il progresso tecnologico oggi consentono di affrontare differenti situazioni cliniche e di offrire al paziente un rapido recupero post-operatorio, una elevata funzionalità articolare e una lunga durata dell’impianto.

Gli impianti protesici attuali, performanti e diversificati, sono realizzati con materiali di elevata resistenza all’usura e ottima biocompatibilità. La protesi del ginocchio, disponibile in diversi modelli e in varie dimensioni, è costituita da quattro componenti realizzate in polietilene, ceramica e leghe di metallo.

La componente femorale, generalmente in titanio, ricopre l’estremità distale del femore; riproduce la forma anatomica dei condili e della gola intercondiloidea per permettere alla rotula di scivolare agevolmente verso l’alto e verso il basso quando il ginocchio si piega e si distende. La componente tibiale è una piattaforma, solitamente in titanio, che ricopre la superficie del piatto tibiale. L’inserto tibiale, che può essere mobile o fisso secondo le esigenze, è realizzato in polietilene e viene fissato alla componente tibiale: funge da appoggio e dà congruenza ai condili femorali garantendo la scorrevolezza dell’impianto durante i movimenti. La componente rotulea assomiglia a un “bottone”, è realizzata in polietilene e riveste la faccia articolare della rotula; l’impianto di rotula non è indicato in tutti i casi clinici.

Le componenti protesiche sono generalmente fissate all’osso ospite con cemento per garantire la stabilità immediata dell’impianto. Quando le condizioni lo consentono, le componenti vengono fissate a pressione (press-fit) o con tecnica ibrida. Dopo l’inserimento della componente con tecnica press-fit si realizza la stabilità primaria e successivamente, con il processo di osteo-integrazione (il tessuto osseo, crescendo, penetra e si ancora alla superficie rugosa della componente), si ottiene la stabilità secondaria.

Sono disponibili impianti anallergici riservati ai pazienti affetti da allergia ai metalli, in special modo al nichel.

Modelli protesici

Sono disponibili due tipologie di protesi del ginocchio: la protesi parziale (mono-compartimentale) e la protesi totale (fig. 5) (tri-compartimentale). La scelta tra le due tipologie è operata dal chirurgo in base alla valutazione di alcuni parametri: età del paziente, integrità dei legamenti, gravità dell’artrosi, patologie di base, peso, aspettative funzionali.

fig. 5, un esempio di protesi totale

Protesi parziale o mono-compartimentale del ginocchio

La protesi mono-compartimentale del ginocchio si impianta con tecnica chirurgica mini-invasiva. Il modello è riservato al paziente con artrosi moderata circoscritta a un solo compartimento articolare (il mediale è interessato con più frequenza), con legamenti crociati e collaterali integri, normopeso, non affetto da deviazioni assiali importanti (valgismo o varismo), da artriti degenerative (artrite reumatoide), ecc. Sono utilizzate protesi di piccole dimensioni che rivestono solo i segmenti ossei interessati dall’artrosi. Più raramente può essere utilizzato un impianto bi-monocompartimentale, quando l’artrosi ha colpito entrambi i comparti mediale e laterale, oppure il comparto mediale o laterale insieme al comparto femoro-rotuleo.

L’impianto di questa piccola protesi non richiede l’asportazione dei legamenti crociati, inoltre la superficie ossea interessata dall’intervento è minima, pertanto il recupero funzionale avviene in tempi brevi.

Protesi totale o tri-compartimentale del ginocchio

Quando l’artrosi è avanzata e coinvolge tutti i compartimenti del ginocchio è necessario utilizzare la protesi totale che riveste completamente le superfici articolari del femore, della tibia e, se necessario, della rotula. La scelta di protesizzare anche la rotula non trova unanime consenso; tuttavia oggi viene molto spesso impiantata nei casi che presentano le indicazioni per il suo impiego, oramai diffusamente accettate, ad esempio artriti infiammatorie, obesità, deterioramento della cartilagine.

Sono disponibili due generi di protesi totale che si differenziano in base alla modalità di stabilizzazione: in alcuni casi è possibile mantenere in sede il legamento crociato posteriore, in altri invece, è necessario sacrificarlo; in entrambi i casi il legamento crociato anteriore viene asportato. I legamenti collaterali invece, devono essere integri, la lesione di uno solo rende necessario l’utilizzo di impianti con vincolo meccanico.

La scelta della protesi da utilizzare, con il più adatto livello di vincolo, è operata dal chirurgo in base alla valutazione di numerosi parametri: età del paziente, solidità dell’osso, integrità dei legamenti, deformità assiali, patologie di base, peso, aspettative funzionali, ecc.

Modello a conservazione del crociato posteriore – C.R. (Cruciate Retaining)

I pazienti con il legamento crociato posteriore integro, non retratto, in grado di stabilizzare l’articolazione dopo l’intervento, possono usufruire della protesi C.R. che consente ottimi risultati funzionali e un recupero più rapido. Naturalmente, anche i legamenti collaterali devono essere perfettamente sani. In questo impianto la componente femorale e l’inserto tibiale sono realizzati in modo da accogliere e proteggere il legamento crociato posteriore.

Modello a stabilizzazione posteriore – P.S. (Posterior Stabilized)

L’impianto a stabilizzazione posteriore è il più utilizzato nel mondo e dispone di una casistica molto vasta a supporto dei criteri di scelta adottati per il suo impiego. Nel modello P.S. la componente in polietilene è provvista di un fittone centrale che, mimando la funzione dei legamenti crociati non più presenti, stabilizza l’articolazione (funge da pivot centrale) in tutte le direzioni specie nella flesso-estensione.

Protesi semivincolata  CCK – (Condylar Constrained Knee)

La protesi semivincolata trova indicazione nei casi di importante insufficienza legamentosa, difetti ossei, obesità, gravi deviazioni assiali (valgismo o varismo), perdita di capitale osseo e negli interventi di revisione. L’impianto CCK è dotato di steli di estensione (per femore e tibia) più lunghi rispetto agli altri impianti che garantiscono una presa ottimale, inoltre ha un perno centrale (vincolo meccanico) che stabilizza l’articolazione ma permette un range di movimento maggiore rispetto alle protesi vincolate.

Protesi vincolata

La protesi vincolata è impiegata raramente: nei casi di grave perdita di capitale osseo, grave deviazione assiale e severa instabilità legamentosa, in alcuni interventi di revisione, a volte in presenza di patologie sistemiche a evoluzione cronica o quando patologie neurologiche compromettono il controllo dell’arto. La protesi vincolata è dotata di un perno centrale a cerniera (vincolo meccanico) che garantisce la stabilità l’articolazione in quanto sopperisce alla funzione dei legamenti crociati e del sistema capsulo-legamentoso.

L’intervento chirurgico

Prima dell’intervento

Nel periodo preoperatorio vengono effettuati esami strumentali, analisi biochimiche e visite mediche volti ad accertare che le condizioni di salute del paziente siano idonee ad affrontare l’intervento: si accerta l’assenza di patologie silenti pericolose per l’intervento, si esaminano eventuali patologie presenti e terapie in atto.

Il giorno dell’intervento

Al paziente viene somministrato un farmaco per favorire il rilassamento e viene invitato a rimanere a letto.

In sala operatoria

Il paziente viene accompagnato in un’area preoperatoria dove un operatore predispone l’accesso venoso inserendogli una cannula in una vena dell’avambraccio o della mano. Questo presidio è necessario per l’infusione endovenosa di fluidi e farmaci durante l’intervento. Successivamente il paziente viene condotto in sala operatoria e posizionato sul letto chirurgico dove l’anestesista procede all’induzione dell’anestesia e al monitoraggio continuo delle funzioni vitali fino al momento del risveglio. Alcuni tipi di anestesia rendono insensibile solo il distretto corporeo da operare e lasciano il paziente cosciente; l’anestesia generale invece lo addormenta profondamente: il paziente non avverte dolore, non si accorge di ciò che avviene intorno a sé e non avrà ricordi. Il tipo di anestesia viene deciso dall’anestesista in base ai protocolli vigenti.

Come si svolge l’intervento

Il chirurgo accede all’articolazione praticando una incisione sul lato anteriore del ginocchio; prosegue con l’artrotomia (incisione della capsula articolare) ed espone l’articolazione. Successivamente attraverso strumentario dedicato si eseguono con precisione i tagli femorali ed il taglio tibiale, resecando i capi articolari. In alcuni casi si esegue anche la preparazione della rotula resecando il lato articolare. A questo punto viene assemblata una protesi “di prova” per assicurarsi della congruità dei tagli e del buon bilanciamento del ginocchio. Se l’articolazione è stabile si rimuovono le componenti di prova e si posizionano quelle definitive: si cementano il piatto tibiale, la componente femorale e quella rotulea, infine si inserisce l’inserto. Si eseguono ulteriori prove di stabilità e se tutto è in ordine si procede alla sutura. (fig. 6, fig. 7)

fig. 6, artroprotesi totale del ginocchio con la rotula non protesizzata
fig. 7, artroprotesi totale del ginocchio con la rotula non protesizzata

Nella maggior parte dei casi le componenti vengono cementate ma possono essere inserite a pressione (press-fit) o con tecnica mista. Con la tecnica pres-fit subiranno il processo di osteo-integrazione.

Familiari

Familiari e amici possono rimanere nell’apposita area di attesa mentre il paziente è in sala operatoria; al termine dell’intervento il chirurgo informa i congiunti sulle condizioni generali del paziente e sull’intervento. Il paziente rimane per breve tempo nella sala di risveglio poi viene ricondotto nella stanza dove potrà ricevere le visite.

Dopo l’intervento

Per qualche giorno il paziente deve rimanere in ospedale dove è monitorato dai medici e dal personale infermieristico. I fisioterapisti lo istruiscono sulla corretta esecuzione di esercizi fisici volti a riacquistare il movimento. Il dolore post-operatorio è temporaneo. Alle dimissioni vengono fornite le indicazioni da seguire per una corretta riabilitazione dell’arto, ad esempio quali movimenti evitare, come sedersi, come scendere e salire le scale, inoltre viene prescritto un programma di esercizi da eseguire a casa o presso una struttura dedicata.

Con la ripresa delle attività quotidiane il paziente nota un progressivo aumento di forza e resistenza dell’arto; tuttavia nei primi tempi alcune attività devono essere evitate, ad esempio correre, sollevare pesi eccessivi, praticare sport di contatto. Sono invece consigliate attività a basso impatto sull’articolazione come il nuoto e la camminata, che vanno intraprese in accordo con il chirurgo.

Domande più frequenti

Quanto si rimane in ospedale?

In genere da 4 a 7 giorni dopo l’intervento ma dipende da molti fattori ed è il chirurgo a stabilire la durata della degenza.

Se il paziente vive solo avrà bisogno di un aiuto in casa?

Sì, è consigliabile l’aiuto di qualcuno per svolgere i lavori domestici più pesanti e per essere accompagnati in auto. Non è necessario personale specializzato, possono svolgere questi compiti una persona di famiglia o un amico, in grado di somministrare farmaci e tenere in ordine i bendaggi.

Quali ausili bisogna procurarsi in vista del ritorno a casa?

Un deambulatore o le stampelle. Il fisioterapista e il medico indirizzano verso l’una o l’altra soluzione valutando quale dei due ausili sia il più sicuro e per quanto tempo debba essere usato.

Dopo l’intervento è necessaria la fisioterapia?

Il programma personalizzato di riabilitazione, pianificato dal chirurgo e dal fisioterapista, inizia in ospedale subito dopo l’intervento e deve proseguire, a casa o presso una struttura dedicata, con l’esecuzione scrupolosa degli esercizi prescritti volti ad aumentare il ROM e la forza.

Quando si può riprendere a guidare?

Il paziente deve far riferimento al chirurgo per conoscere con precisione i tempi di recupero che sono legati alla tecnica chirurgica e al tipo di protesi, inoltre va valutato se l’intervento è stato eseguito all’arto destro o sinistro. Va considerato anche il tipo di auto guidata.

Quando si può tornare al lavoro?

I progressi conseguiti in fase riabilitativa e il tipo di lavoro sono fattori determinanti per stabilire quando rientrare: un lavoro pesante richiede tempi di recupero più lunghi rispetto a un impiego sedentario. Generalmente è necessario un periodo di riposo e cure da uno a tre mesi, in base al tipo di intervento, alle condizioni di salute del paziente ed alle attività che si dovranno riprendere.

Chirurgia del ginocchio in artroscopia

Artroscopio

L’artroscopia è una tecnica mini-invasiva di chirurgia ortopedica eseguibile con l’artroscopio, uno strumento a fibre ottiche di piccole dimensioni che consente di esplorare l’interno di una regione articolare e contemporaneamente di operare.

L’artroscopio è costituito da una sonda, per lunghezza e calibro paragonabile a una matita da disegno, dotata di lenti miniaturizzate poste sull’estremità che va inserita nella cavità articolare; la sonda illumina e filma l’interno dell’articolazione e restituisce le immagini ingrandite attraverso un monitor in tempo reale. Questo consente una ispezione dettagliata e rende possibili interventi chirurgici prima impensabili. In alcuni casi si ricorre all’artroscopia per effettuare diagnosi a supporto della chirurgia tradizionale.

Gli interventi chirurgici

L’accesso chirurgico in artroscopia si esegue attraverso piccole incisioni di circa un centimetro, solitamente una per l’introduzione dell’artroscopio, un’altra o due per introdurre gli strumenti chirurgici (palpatori, pinze, duckbill). Si infonde una soluzione fisiologica nell’articolazione che lava la sede ed espande l’interno permettendone l’esplorazione e si prosegue con il trattamento chirurgico che può richiedere dai trenta ai novanta minuti circa, in base alla sua complessità.

L’artroscopia, per la sua minima invasività, consente tempi brevi di esecuzione, minimo danno estetico e rapido recupero.

Gli interventi eseguibili con questa tecnica sono molteplici, i più praticati sono i trattamenti di lesioni meniscali e del legamento crociato anteriore.

Lesione del menisco

La lesione del menisco, mediale o laterale, è una patologia molto comune tra gli sportivi dovuta principalmente a traumi distorsivi; anche la meniscopatia degenerativa dovuta all’età o a patologie preesistenti e l’instabilità del ginocchio dovuta a lesioni e lassità dei legamenti, possono causare danni ai menischi.

I menischi, due in ogni ginocchio, sono importanti strutture di fibrocartilagine collocate tra il piatto tibiale e i condili femorali e con le loro proprietà biomeccaniche riducono lo stress sulla cartilagine.

La scelta dell’intervento chirurgico richiede la valutazione di importanti fattori tra cui gravità e sede della lesione, necessità funzionali, età del paziente, presenza di altre lesioni associate. Nel paziente anziano o poco attivo una adeguata fisioterapia, terapie conservative e una serie di accorgimenti possono risultare soddisfacenti ma quando la lesione è grave o il paziente è giovane e molto attivo può essere necessario ricorrere all’intervento chirurgico in tempi brevi.

In base alle dimensioni e alla sede della lesione il chirurgo esegue una sutura del menisco o una meniscectomia della porzione lesionata (selettiva) avendo cura di asportare la minima parte possibile. Durante l’intervento può accadere di dover rimuovere corpi mobili intra-articolari o trattare una lesione cartilaginea, rilevati con l’esplorazione artroscopica.

Il decorso post-operatorio

La tecnica artroscopica consente un rapido recupero ma con differenti tempistiche in base alla gravità, al tipo e alla sede della lesione trattata, all’età, al tipo di lavoro e di attività sportiva che si dovranno riprendere. È opportuno seguire un programma riabilitativo personalizzato che tenga conto di ogni fattore.

L’intervento di meniscectomia in genere permette la dimissione lo stesso giorno dell’intervento o il successivo; dopo circa 12-14 giorni si rimuovono i punti di sutura se applicati. Dopo la meniscectomia mediale in genere l’uso delle stampelle è consigliato per un paio di giorni ed entro tre settimane il recupero può essere completo. Invece la meniscectomia laterale richiede tempi più lunghi: mediamente 5/7 giorni per le stampelle, 30/50 giorni di recupero. I tempi per il rientro al lavoro possono variare: un lavoro sedentario può essere ripreso dopo pochi giorni, un’attività pesante richiede il completo recupero.

L’intervento di suturazione necessita di tempi di recupero lunghi: stampelle per circa 4 settimane e un periodo di 4/6 mesi per un recupero completo; il ritorno all’attività sportiva può richiedere 6 mesi.

Lesione del legamento crociato anteriore (lca)

La lesione del legamento crociato anteriore è molto comune tra gli sportivi di numerose discipline. La causa è il trauma: un colpo diretto al ginocchio o una distorsione grave. Tali lesioni sono riscontrate anche nella traumatologia stradale.

I due legamenti crociati, anteriore e posteriore, sono alloggiati all’interno del ginocchio e uniscono tibia e femore, costituiscono il cosiddetto “pivot centrale” (centro di rotazione) e la loro funzione stabilizzante limita il movimento della tibia rispetto al femore.

La lesione o rottura del legamento può essere parziale o totale; entrambi i casi prevedono la valutazione di importanti fattori per stabilire le modalità dell’intervento chirurgico: gravità e sede della lesione, livello di attività e aspettative del paziente, età, presenza di lesioni associate e/o lassità legamentosa. Il paziente giovane che desidera continuare a praticare sport agonistico ha bisogno di essere operato subito, mentre il paziente adulto o anziano con prospettive di limitata attività può anche aspettare, eccetto nei casi di lesioni importanti e quando l’instabilità articolare compromette le più semplici attività quotidiane come camminare, salire e scendere le scale. La lesione totale presenta indicazioni dirette per l’intervento in quanto la grave instabilità che ne consegue comporta lo sviluppo di artrosi precoce, oltre all’alto rischio di causare ulteriori traumi.

Prima dell’intervento è importante valutare l’opportunità di eseguire un programma di riabilitazione preoperatoria. L’intervento chirurgico più diffuso consiste nell’innesto di tessuto autologo prelevato dai tendini semitendinoso e gracile o dal tendine rotuleo; più raramente, nei casi che presentano rotture di più legamenti o negli interventi di revisione, può essere utilizzato un tendine di donatore (allograft). Il tessuto prelevato viene inserito nei tunnel ossei ricavati nel femore e nella tibia e ancorato mediante mezzi di sintesi in materiale riassorbibile; quando necessario, l’ancoraggio tibiale viene rinforzato con una piccola graffa metallica.

Il decorso post-operatorio

La tecnica artroscopica consente un rapido recupero ma con differenti tempistiche in base alla gravità, al tipo e alla sede della lesione trattata, all’età, al tipo di lavoro e di attività sportiva che si dovranno riprendere. È opportuno seguire un programma riabilitativo personalizzato che tenga conto di ogni fattore.

L’intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore generalmente permette la dimissione uno o due giorni dopo l’intervento; l’uso delle stampelle ha tempistiche diverse: sono consigliate dalle 2 alle 4 settimane. In alcuni casi è consigliato un tutore. Dopo circa 12-14 giorni si rimuovono i punti di sutura. Dopo 30 giorni circa si può riprendere a guidare. I tempi per il rientro al lavoro possono variare: riprendere un lavoro sedentario può richiedere tre settimane mentre per un’attività pesante sono necessari 2 o 3 mesi di recupero. Riprendere l’attività sportiva può richiedere 5 o 6 mesi.

L’importanza del ginocchio
per la tua qualità di vita

Il ginocchio è indiscutibilmente una delle articolazioni più fondamentali del nostro corpo, poiché la sua funzionalità incide direttamente sulla nostra qualità di vita. Purtroppo, il ginocchio può essere soggetto a varie minacce, tra cui artriti infiammatorie, patologie reumatiche, traumi, malformazioni e disordini metabolici, che possono compromettere gravemente il suo stato e persino portare allo sviluppo dell’artrosi.

L’artrosi del ginocchio, nota come gonartrosi, è un problema diffuso nella società occidentale. Questa condizione patologica provoca dolore e limita significativamente la nostra capacità di movimento. Nelle fasi avanzate, può causare dolore cronico e gravi difficoltà nella semplice azione di camminare.

Quando le terapie conservatrici non portano i risultati desiderati, soprattutto nei casi più gravi, l’intervento chirurgico diventa un’opzione importante e consigliata.

Anatomia del ginocchio

Il ginocchio è la più grande articolazione del corpo, classificata come articolazione a cerniera in quanto permette i movimenti in flesso-estensione. Tuttavia, a differenza del gomito, non è una vera e propria cerniera poiché consente una rotazione che accompagna la flessione e l’estensione.Il ginocchio è un’articolazione complessa,(fig. 1) funzionalmente suddivisa in tre compartimenti: il mediale (parte interna del ginocchio), il laterale (parte esterna), il femoro-rotuleo (parte anteriore).

fig. 1, articolazione del ginocchio, sezione sagittale

Si stabilisce tra i due condili del femore e le due cavità poco profonde del piatto tibiale (la porzione articolare della tibia). La rotula o patella (fig. 2) ricorda un triangolo rovesciato ed è posta anteriormente, al confine tra tibia e femore: scorrendo con il lato articolare nell’incavo tra i due condili (gola intercondiloidea) costituisce una seconda articolazione. Il bordo superiore della rotula è la sede d’inserzione del tendine del quadricipite: esso la avvolge completamente fino sotto l’apice e prosegue formando il legamento patellare (o tendine rotuleo) che la collega alla tibia. (fig. 2)
Il perone, posto lateralmente alla tibia, di fatto non partecipa all’articolazione.

fig. 2, articolazione del ginocchio

Le superfici articolari sono ricoperte dalla cartilagine, uno strato di tessuto connettivo resistente ed elastico, che le preserva dall’attrito. Tra i condili e il piatto tibiale si interpongono i due menischi, (fig. 2a) importanti strutture di fibrocartilagine che conferiscono congruenza articolare e ammortizzano il carico sulle cartilagini, inoltre, ampliando la superficie di contatto, distribuiscono il carico in modo uniforme.

fig. 2a, Piatto tibiale destro con menischi e legamenti crociati

La capsula articolare, una guaina di tessuto connettivo fibroso, avvolge interamente l’articolazione e la stabilizza. I legamenti sono fondamentali per la stabilizzazione del ginocchio: sono robusti cordoni (o nastri) fibrosi che uniscono le ossa, regolano e impediscono il movimento eccessivo dei capi articolari durante i movimenti. I più importanti sono i due legamenti crociati (fig. 2a) alloggiati all’interno del ginocchio, e i due legamenti collaterali, posizionati ai lati. Le fasce muscolari provvedono ai movimenti e con la loro forza dinamica concorrono alla stabilizzazione dell’articolazione.

La capsula articolare al suo interno è rivestita da una membrana di tessuto connettivo, la membrana sinoviale. Questa membrana avvolge le porzioni dei capi articolari contenute dalla capsula (eccetto le superfici articolari ricoperte di cartilagine) e secerne il liquido sinoviale, viscoso e denso, che ha la duplice funzione di lubrificare e nutrire l’articolazione.

Numerose borse sierose (vescicole di liquido sinoviale) favoriscono lo scivolamento dei tessuti durante i movimenti e ammortizzano gli attriti.

ALCUNE PATOLOGIE ARTICOLARI DEL GINOCCHIO
Le patologie articolari del ginocchio sono numerose e dovute a molteplici cause. Tra queste si osservano patologie articolari degenerative causate dall’usura dell’articolazione, patologie articolari infiammatorie, alcune delle quali sono legate a processi autoimmuni, patologie traumatiche come fratture e lussazioni e patologie post-traumatiche (in esito a traumi).

Queste patologie, seppure molto diverse tra loro (livello di gravità, cause, decorso), hanno in comune alcune caratteristiche: causano dolore, limitano i movimenti e possono comportare gravi danni a carico delle articolazioni. Alcune di queste patologie, negli stadi avanzati, possono rivelarsi invalidanti e inficiare la qualità della vita.
Osteoartrosi

L’artrosi del ginocchio o gonartrosi è molto diffusa nel mondo occidentale. Le conformazioni del ginocchio in varo (nel linguaggio comune chiamate ginocchia a parentesi) e in valgo (ginocchia a X), così come l’instabilità articolare, sono importanti fattori di rischio che, in base alla gravità, influiscono sullo sviluppo dell’artrosi.

L’osteoartrosi, detta anche artrosi, è una patologia degenerativa cronica che colpisce le articolazioni ed è caratterizzata dalla progressiva distruzione della cartilagine. Questo processo degenerativo coinvolge l’articolazione nel suo complesso.

L’artrosi è la più frequente tra le patologie reumatiche, è molto diffusa nel mondo occidentale e colpisce più di frequente le donne. I sintomi dell’artrosi esordiscono intorno ai 50 anni rendendo manifesta la malattia rimasta asintomatica per lungo tempo. L’artrosi può colpire anche soggetti giovani, in seguito a traumi, sovraccarico funzionale, in presenza di malformazioni e di alcune patologie predisponenti.

Classificazione

La classificazione più comune distingue l’artrosi primaria (idiopatica) e l’artrosi secondaria.

Non si conoscono cause specifiche correlate allo sviluppo dell’artrosi primaria, esordisce intorno ai 50 anni, dimostra una predisposizione genetica e può interessare più articolazioni. Dell’artrosi secondaria invece, si conoscono gli eventi e le patologie a cui è correlata, ad esempio traumi, malformazioni ed altre patologie predisponenti.

Questa distinzione può risultare riduttiva in quanto alcuni aspetti della malattia sono potenzialmente riconducibili sia all’artrosi primaria sia all’artrosi secondaria. Una classificazione più specifica sarà possibile quando le conoscenze sull’artrosi saranno più progredite.

Cartilagine

L’artrosi è caratterizzata dalla degradazione della cartilagine, dell’osso e delle altre strutture articolari.

La cartilagine articolare è un tessuto connettivo specializzato, elastico e molto resistente, levigato, di colore bianco perlaceo. La cartilagine riveste interamente le superfici articolari, le preserva dall’attrito durante i movimenti, consente il fluido scivolamento dei capi articolari e ammortizza il carico. La cartilagine non è vascolarizzata per cui le sue capacità rigenerative sono molto scarse e il nutrimento è fornito dal liquido sinoviale.

Cause e fattori di rischio

L’artrosi si sviluppa in età e con tempi diversi, in presenza di differenti condizioni e stati patologici predisponenti. Le lesioni cartilaginee, di differente gravità, coinvolgono tutte le strutture articolari con specifiche alterazioni. La causa prima dell’artrosi non è ancora certa.

L’età avanzata può comportare l’usura della cartilagine come conseguenza dell’uso prolungato dell’articolazione. L’invecchiamento di per sé non è causa di artrosi, tuttavia determina un indebolimento della cartilagine che la predispone alle lesioni: perde progressivamente elasticità e resistenza all’attrito e non essendo più in grado di sostenere i carichi sviluppa lesioni più o meno gravi.

Il sovraccarico funzionale dovuto all’uso eccessivo di una o più articolazioni (sforzi e movimenti ripetitivi richiesti in alcune attività lavorative e sportive) genera microtraumi che nel tempo possono causare l’usura delle cartilagini; in questi casi l’artrosi può colpire anche soggetti giovani.

I traumi come fratture, lussazioni e gravi distorsioni, le malformazioni (displasia dell’anca, deformità assiali in varo e in valgo del ginocchio), possono determinare l’incongruenza delle superfici articolari (non sono più perfettamente aderenti) per la quale i carichi non si distribuiscono in modo uniforme sulle superfici articolari, inoltre, durante i movimenti si genera un attrito anomalo che stressa la cartilagine provocandone l’usura precoce. I traumi possono causare instabilità articolare e, più raramente, lesioni dirette alla cartilagine.

Numerose altre patologie possono alterare la meccanica e la biologia delle strutture articolari e comportare il progressivo deterioramento della cartilagine, anche precoce. Alcuni esempi: patologie metaboliche ed endocrine, come diabete, obesità, iperparatiroidismo; patologie osteoarticolari come necrosiasettica, spondiloartrite; artriti settiche; artriti infiammatorie (artrite reumatoide, artrite psoriasica); artriti da cristalli (gotta); alcune malattie ereditarie (sindrome di Ehlers-Danlos, emocromatosi, sindrome di Marfan).

Sviluppo dell’artrosi

La cartilagine danneggiata si assottiglia progressivamente fino a esporre, con gradualità, l’osso sottostante. L’osso reagisce al processo degenerativo addensandosi (sclerosi), molto spesso produce piccole formazioni appuntite (osteofiti) lungo i margini delle superfici articolari e piccole cavità ossee (pseudocisti o geodi). Il processo degenerativo coinvolge le altre strutture articolari: la membrana sinoviale si ispessisce, la capsula diviene fibrotica. Anche i legamenti possono diventare fibrotici e retratti, i menischi possono lesionarsi. I muscoli, per la diminuita funzionalità, perdono forza, massa e tono. L’articolazione è dolorante, tumefatta e rigida. Nei casi più avanzati si osservano deformità e severa limitazione funzionale.

Le articolazioni più colpite dall’artrosi sono quelle maggiormente sottoposte a carico: ginocchio, anca, spalla, mani, piedi e colonna vertebrale.

Prevenzione

Adottare un corretto stile di vita consente di controllare alcuni fattori di rischio che favoriscono l’artrosi: mantenere il peso forma; evitare posture scorrette, carichi eccessivi e ripetuti, attività sportive ad alto impatto sull’articolazione; praticare regolarmente una moderata attività fisica per mantenere la muscolatura forte e tonica; non fumare; seguire una dieta varia ed equilibrata.

Qualora l’artrosi sia presente, a maggior ragione sarà importante osservare regole salutari e praticare una attività fisica adeguata, per non agevolare il processo artrosico e per mantenere in forma l’organismo nel suo complesso.

Non esistono, ad oggi, trattamenti risolutivi per l’artrosi e quando le terapie farmacologiche, la fisioterapia e la chirurgica conservativa non sono più efficaci, si può ricorrere alla sostituzione dell’articolazione con una protesi.

Artrosi post-traumatica del ginocchio

L’artrosi post-traumatica del ginocchio è una diffusa patologia degenerativa cronica che si sviluppa in seguito a traumi ad alta energia (incidenti stradali, infortuni lavorativi e sportivi) che hanno provocato lussazioni, distorsioni, fratture, lesioni e lassità dei legamenti e della capsula articolare, lesioni della cartilagine e dei menischi.

In molti casi dopo un trauma le strutture delle articolazioni non guariscono perfettamente, ad esempio le fratture possono generare anomalie della meccanica articolare, oppure lesioni alla capsula, ai legamenti e ai menischi possono comportare instabilità di vario grado. Si può determinare una incongruenza delle superfici articolari -dei condili femorali e del piatto tibiale così come della rotula con la sede di scorrimento- che non sono più perfettamente aderenti, ad esempio a causa di esiti di fratture o per instabilità. La perdita della congruenza determina una irregolare distribuzione dei carichi sulle superfici articolari e produce un “attrito anomalo” durante i movimenti. Tutto questo causa il deterioramento progressivo della cartilagine e conseguente sviluppo dell’artrosi.

L’artrosi post-traumatica può manifestarsi anche diversi anni dopo l’evento traumatico.

Instabilità articolare del ginocchio

L’articolazione del ginocchio è molto stabile e nello stesso tempo è dotata di una notevole mobilità controllata che permette l’appoggio sicuro del piede nelle più disparate circostanze. La compresenza di stabilità e mobilità è dovuta soprattutto alla funzione stabilizzante dei legamenti, in particolare dei legamenti crociati e collaterali, che controllano i movimenti in flessione, estensione e rotazione. La capsula articolare, avvolgendo l’articolazione, esercita un’importante azione stabilizzante, così come i muscoli con la loro forza dinamica.

L’instabilità del ginocchio è determinata da una eccessiva libertà di movimento dei capi articolari che può provocare, come estrema conseguenza, la lussazione delle articolazioni. L’eccessivo movimento è causato da patologie delle strutture di contenimento dell’articolazione: lassità e lesioni dei legamenti e della capsula, lesioni dei menischi, a volte dei tendini e dei muscoli. Queste patologie insorgono soprattutto in seguito a traumi come fratture, lussazioni, gravi distorsioni, in seguito a microtraumi ripetuti dovuti a sovraccarico funzionale e in presenza di anomalie ossee come ad esempio in alcuni casi di instabilità della rotula. La lassità può anche essere congenita. La rotula instabile non è allineata con il solco di scorrimento e si sposta lateralmente determinando un attrito che può essere molto doloroso (sindrome femoro-rotulea). Nella maggioranza dei casi l’instabilità rotulea è causata dal deficit del quadricipite, in misura minore da sovraccarico funzionale, anomalie ossee, lassità e lesioni legamentose, ecc. Questa patologia può portare alla sublussazione o lussazione della rotula.

Nel ginocchio instabile i condili femorali e il piatto tibiale, così come la rotula per l’articolazione femoro-rotuluea, perdono il perfetto allineamento e questo può causare la progressiva distruzione della cartilagine e conseguente artrosi. L’instabilità del ginocchio può favorire altri traumi (lussazione o sublussazione, distorsioni) che, in un circolo vizioso, danneggiano ulteriormente le strutture di contenimento. Si può determinare un’instabilità legamentosa cronica del ginocchio che permane anche diversi anni dopo il trauma. Anche la rotula si può sublussare o lussare.

L’instabilità del ginocchio è frequente tra gli sportivi (rugby, sci, calcio, corsa, atletica, ecc.) e le lesioni dei legamenti ne sono la causa principale. Si osservano vari livelli di gravità, in base alla sede e alla dimensione (parziale o totale) della lesione legamentosa, al numero di legamenti lesionati e in base alla presenza di lesioni associate di capsula e menischi. Anche l’instabilità è più frequente tra gli sportivi.

I trattamenti per l’instabilità del ginocchio variano in base al tipo di lesione, ad esempio in artroscopia si possono trattare lesioni dei legamenti e della capsula mentre l’instabilità rotulea nella maggior parte dei casi richiede trattamenti conservativi, soprattutto la fisioterapia. La fisioterapia è fondamentale per riequilibrare la funzionalità dell’arto e per rafforzare e tonificare i muscoli che concorrono a stabilizzare il ginocchio. Una adeguata muscolatura, inoltre, è molto importante nella prevenzione dell’instabilità del ginocchio, in special modo per gli sportivi.

Artrite reumatoide

Le grandi articolazioni dell’anca, del ginocchio e della spalla possono essere colpite dall’artrite reumatoide.

L’artrite reumatoide è la più frequente tra le artriti infiammatorie croniche, è di natura autoimmune e colpisce prevalentemente le donne tra 40 e 50 anni.

La membrana sinoviale riveste interamente le articolazioni ed è l’oggetto principale del processo autoimmune che, attivando cellule infiammatorie e autoanticorpi, sviluppa un’infiammazione (sinovite) acuta che si auto-mantiene e cronicizza. Con l’aggravarsi del processo infiammatorio la membrana si ispessisce e forma un nuovo tessuto molto vascolarizzato (panno articolare) ricco di enzimi che degradano progressivamente le cartilagini ed erodono l’osso sottostante.

L’infiammazione danneggia anche i tendini, i legamenti e la capsula articolare. La malattia tende a colpire altre piccole articolazioni, la colonna vertebrale e le grandi articolazioni del ginocchio, della spalla e dell’anca. In alcuni casi l’artrite reumatoide coinvolge anche altri tessuti e organi come la cute, i polmoni e l’occhio. La patologia presenta vari livelli di gravità in base al periodo in cui si sviluppano le erosioni ossee, alla loro gravità e diffusione.

L’esordio dell’artrite reumatoide è molto diversificato e i sintomi rispecchiano la gravità della malattia. Generalmente all’inizio colpisce le piccole articolazioni delle mani e dei polsi, spesso con interessamento simmetrico (a destra e a sinistra) per poi progredire coinvolgendo altre articolazioni. I sintomi principali sono il dolore, la caratteristica rigidità duratura al mattino, tumefazione e limitazione funzionale. Con la progressione della malattia il dolore è più persistente ed i movimenti sono più difficoltosi. Negli stadi avanzati si osservano deformità delle articolazioni e, spesso, la perdita totale della flessibilità articolare (anchilosi).

Nella maggioranza dei casi l’artrite reumatoide presenta una lenta evoluzione in cui si alternano fasi attive a periodi di quiescenza. Nelle forme aggressive si riscontra una rapida progressione delle lesioni articolari. Si osserva, inoltre, una minoranza di forme benigne autolimitanti.

I trattamenti sono volti a rallentare il processo infiammatorio, ad alleviare i sintomi e, nei casi possibili, a provocare la regressione dell’infiammazione.

Necrosi avascolare

La necrosi avascolare, detta anche osteonecrosi, colpisce aree ossee delimitate, in particolar modo la superficie articolare delle estremità (epifisi) delle ossa lunghe, molto spesso con interessamento simmetrico (a destra e a sinistra).

La necrosi avascolare si verifica per il mancato afflusso di sangue al tessuto osseo che causa la morte delle cellule per assenza di nutrimento e ossigeno. Il processo necrotico determina piccole fratture localizzate che destrutturano il tessuto osseo fino a comportare, nel tempo, il collasso (crollo) dell’osso.

La diagnosi precoce della malattia consente di ricorrere ai trattamenti possibili, con risultati spesso soddisfacenti. Quando non trattata o quando i trattamenti non raggiungono i risultati sperati, la necrosi avascolare comporta lo sviluppo dell’artrosi.

L’articolazione dell’anca è in assoluto la più colpita da questa patologia, seguita, in misura minore, da ginocchio, spalla, polso, caviglia, mandibola. La necrosi avascolare colpisce anche altre articolazioni e regioni ossee non articolari.

Le patologie e le condizioni correlate allo sviluppo della necrosi avascolare sono molteplici: fratture, lussazioni e lesioni dei vasi sanguigni sono di origine traumatica; tra le più frequenti si osservano terapie cortisoniche a lungo termine e alcolismo; seguono chemioterapia, radioterapia, embolie, lupus eritematoso, anemia falciforme, trombosi, HIV, cirrosi epatica, morbo di Crohn, diabete, ecc.

Nel ginocchio l’osteonecrosi colpisce soprattutto il condilo mediale, a volte il condilo laterale, raramente il piatto tibiale. Il sintomo di esordio più frequente è un dolore improvviso che peggiora con i movimenti. Nelle fasi iniziali della malattia si può ricorrere a trattamenti incruenti: farmaci, terapie con onde d’urto e campi elettromagnetici, camera iperbarica. Sempre nelle fasi iniziali, soprattutto in assenza di collasso dell’osso, può essere indicato l’intervento chirurgico. Gli interventi possibili sono numerosi e mirano a ristabilire l’afflusso di sangue ed a stimolare la rigenerazione dell’osso, tra questi i più eseguiti sono gli interventi di decompressione dei condili e il trapianto osseo.

Nei casi non trattati o che non rispondono positivamente alle cure, la destrutturazione dell’osso determina il collasso del condilo e conseguente sviluppo della gonartrosi.

Quali sono i sintomi dell’artrosi del ginocchio?
  • All’inizio si può avvertire un dolore diffuso al ginocchio, non costante.
  • Dolore e gonfiore risultano accentuati dopo un periodo di inattività, specialmente al mattino.
  • Si può avvertire una sensazione di debolezza dell’arto associata ad una limitazione del ROM (Range Of Motion: l’ampiezza massima di movimento, misurata in gradi, che l’articolazione può raggiungere).
  • Con l’aggravarsi della malattia si può avvertire un dolore acuto nell’eseguire i movimenti che rende difficile svolgere le più semplici attività quotidiane come camminare, accucciarsi, lavarsi, vestirsi, alzarsi da una sedia.
  • Nelle fasi avanzate può determinarsi un disallineamento del ginocchio in varo o in valgo.
  • Il dolore aumenta salendo e scendendo le scale e dopo aver camminato per brevi tratti.
  • Il dolore, da moderato ad acuto, si può avvertire anche a riposo e a volte può impedire il sonno.
  • I cambiamenti meteorologici possono accentuare l’intensità del dolore.
Trattamenti dell’artrosi del ginocchio

I trattamenti dell’artrosi del ginocchio sono volti ad alleviare il dolore ed a rallentare il processo artrosico.

  • Nella fase iniziale la malattia è trattata con farmaci antidolorifici e antiinfiammatori
  • Sono consigliati integratori alimentari a base di condroprotettori, da assumere a periodi.
  • Sono indicate infiltrazioni intra-articolari con acido ialuronico (condroprotettore) volte a rallentare la degenerazione della cartilagine.
  • Si consiglia di evitare le attività fisiche ad alto impatto sull’articolazione e di interrompere quelle attività che causano dolore durante o dopo l’esercizio.
  • Fisiokinesiterapia e una moderata attività fisica a basso impatto sull’articolazione del ginocchio (nuoto) sono molto importanti per rafforzare i muscoli e per mantenere la mobilità articolare.
  • In alcuni casi si eseguono infiltrazioni intra-articolari con cortisone.
  • Il calo ponderale è fondamentale per diminuire il carico sull’articolazione.
  • L’utilizzo delle stampelle è utile per diminuire il carico durante i movimenti.

Quando farmaci, terapie intra-articolari, trattamenti artroscopici e fisioterapia non sono più efficaci, nei casi più gravi si propone la sostituzione parziale o totale dell’articolazione del ginocchio. L’intervento è volto a eliminare il dolore e a recuperare la mobilità dell’arto. È importante che l’intervento venga pianificato in accordo tra il paziente e la sua famiglia, il medico di base e il chirurgo ortopedico.

Impianti protesici del ginocchio

Le moderne tecniche chirurgiche e il progresso tecnologico oggi consentono di affrontare differenti situazioni cliniche e di offrire al paziente un rapido recupero post-operatorio, una elevata funzionalità articolare e una lunga durata dell’impianto.

Gli impianti protesici attuali, performanti e diversificati, sono realizzati con materiali di elevata resistenza all’usura e ottima biocompatibilità. La protesi del ginocchio, disponibile in diversi modelli e in varie dimensioni, è costituita da quattro componenti realizzate in polietilene, ceramica e leghe di metallo.

La componente femorale, generalmente in titanio, ricopre l’estremità distale del femore; riproduce la forma anatomica dei condili e della gola intercondiloidea per permettere alla rotula di scivolare agevolmente verso l’alto e verso il basso quando il ginocchio si piega e si distende. La componente tibiale è una piattaforma, solitamente in titanio, che ricopre la superficie del piatto tibiale. L’inserto tibiale, che può essere mobile o fisso secondo le esigenze, è realizzato in polietilene e viene fissato alla componente tibiale: funge da appoggio e dà congruenza ai condili femorali garantendo la scorrevolezza dell’impianto durante i movimenti. La componente rotulea assomiglia a un “bottone”, è realizzata in polietilene e riveste la faccia articolare della rotula; l’impianto di rotula non è indicato in tutti i casi clinici.

Le componenti protesiche sono generalmente fissate all’osso ospite con cemento per garantire la stabilità immediata dell’impianto. Quando le condizioni lo consentono, le componenti vengono fissate a pressione (press-fit) o con tecnica ibrida. Dopo l’inserimento della componente con tecnica press-fit si realizza la stabilità primaria e successivamente, con il processo di osteo-integrazione (il tessuto osseo, crescendo, penetra e si ancora alla superficie rugosa della componente), si ottiene la stabilità secondaria.

Sono disponibili impianti anallergici riservati ai pazienti affetti da allergia ai metalli, in special modo al nichel.

Modelli protesici

Sono disponibili due tipologie di protesi del ginocchio: la protesi parziale (mono-compartimentale) e la protesi totale (fig. 5) (tri-compartimentale). La scelta tra le due tipologie è operata dal chirurgo in base alla valutazione di alcuni parametri: età del paziente, integrità dei legamenti, gravità dell’artrosi, patologie di base, peso, aspettative funzionali.

fig. 5, un esempio di protesi totale

Protesi parziale o mono-compartimentale del ginocchio

La protesi mono-compartimentale del ginocchio si impianta con tecnica chirurgica mini-invasiva. Il modello è riservato al paziente con artrosi moderata circoscritta a un solo compartimento articolare (il mediale è interessato con più frequenza), con legamenti crociati e collaterali integri, normopeso, non affetto da deviazioni assiali importanti (valgismo o varismo), da artriti degenerative (artrite reumatoide), ecc. Sono utilizzate protesi di piccole dimensioni che rivestono solo i segmenti ossei interessati dall’artrosi. Più raramente può essere utilizzato un impianto bi-monocompartimentale, quando l’artrosi ha colpito entrambi i comparti mediale e laterale, oppure il comparto mediale o laterale insieme al comparto femoro-rotuleo.

L’impianto di questa piccola protesi non richiede l’asportazione dei legamenti crociati, inoltre la superficie ossea interessata dall’intervento è minima, pertanto il recupero funzionale avviene in tempi brevi.

Protesi totale o tri-compartimentale del ginocchio

Quando l’artrosi è avanzata e coinvolge tutti i compartimenti del ginocchio è necessario utilizzare la protesi totale che riveste completamente le superfici articolari del femore, della tibia e, se necessario, della rotula. La scelta di protesizzare anche la rotula non trova unanime consenso; tuttavia oggi viene molto spesso impiantata nei casi che presentano le indicazioni per il suo impiego, oramai diffusamente accettate, ad esempio artriti infiammatorie, obesità, deterioramento della cartilagine.

Sono disponibili due generi di protesi totale che si differenziano in base alla modalità di stabilizzazione: in alcuni casi è possibile mantenere in sede il legamento crociato posteriore, in altri invece, è necessario sacrificarlo; in entrambi i casi il legamento crociato anteriore viene asportato. I legamenti collaterali invece, devono essere integri, la lesione di uno solo rende necessario l’utilizzo di impianti con vincolo meccanico.

La scelta della protesi da utilizzare, con il più adatto livello di vincolo, è operata dal chirurgo in base alla valutazione di numerosi parametri: età del paziente, solidità dell’osso, integrità dei legamenti, deformità assiali, patologie di base, peso, aspettative funzionali, ecc.

Modello a conservazione del crociato posteriore – C.R. (Cruciate Retaining)

I pazienti con il legamento crociato posteriore integro, non retratto, in grado di stabilizzare l’articolazione dopo l’intervento, possono usufruire della protesi C.R. che consente ottimi risultati funzionali e un recupero più rapido. Naturalmente, anche i legamenti collaterali devono essere perfettamente sani. In questo impianto la componente femorale e l’inserto tibiale sono realizzati in modo da accogliere e proteggere il legamento crociato posteriore.

Modello a stabilizzazione posteriore – P.S. (Posterior Stabilized)

L’impianto a stabilizzazione posteriore è il più utilizzato nel mondo e dispone di una casistica molto vasta a supporto dei criteri di scelta adottati per il suo impiego. Nel modello P.S. la componente in polietilene è provvista di un fittone centrale che, mimando la funzione dei legamenti crociati non più presenti, stabilizza l’articolazione (funge da pivot centrale) in tutte le direzioni specie nella flesso-estensione.

Protesi semivincolata  CCK – (Condylar Constrained Knee)

La protesi semivincolata trova indicazione nei casi di importante insufficienza legamentosa, difetti ossei, obesità, gravi deviazioni assiali (valgismo o varismo), perdita di capitale osseo e negli interventi di revisione. L’impianto CCK è dotato di steli di estensione (per femore e tibia) più lunghi rispetto agli altri impianti che garantiscono una presa ottimale, inoltre ha un perno centrale (vincolo meccanico) che stabilizza l’articolazione ma permette un range di movimento maggiore rispetto alle protesi vincolate.

Protesi vincolata

La protesi vincolata è impiegata raramente: nei casi di grave perdita di capitale osseo, grave deviazione assiale e severa instabilità legamentosa, in alcuni interventi di revisione, a volte in presenza di patologie sistemiche a evoluzione cronica o quando patologie neurologiche compromettono il controllo dell’arto. La protesi vincolata è dotata di un perno centrale a cerniera (vincolo meccanico) che garantisce la stabilità l’articolazione in quanto sopperisce alla funzione dei legamenti crociati e del sistema capsulo-legamentoso.

L’intervento chirurgico

Prima dell’intervento

Nel periodo preoperatorio vengono effettuati esami strumentali, analisi biochimiche e visite mediche volti ad accertare che le condizioni di salute del paziente siano idonee ad affrontare l’intervento: si accerta l’assenza di patologie silenti pericolose per l’intervento, si esaminano eventuali patologie presenti e terapie in atto.

Il giorno dell’intervento

Al paziente viene somministrato un farmaco per favorire il rilassamento e viene invitato a rimanere a letto.

In sala operatoria

Il paziente viene accompagnato in un’area preoperatoria dove un operatore predispone l’accesso venoso inserendogli una cannula in una vena dell’avambraccio o della mano. Questo presidio è necessario per l’infusione endovenosa di fluidi e farmaci durante l’intervento. Successivamente il paziente viene condotto in sala operatoria e posizionato sul letto chirurgico dove l’anestesista procede all’induzione dell’anestesia e al monitoraggio continuo delle funzioni vitali fino al momento del risveglio. Alcuni tipi di anestesia rendono insensibile solo il distretto corporeo da operare e lasciano il paziente cosciente; l’anestesia generale invece lo addormenta profondamente: il paziente non avverte dolore, non si accorge di ciò che avviene intorno a sé e non avrà ricordi. Il tipo di anestesia viene deciso dall’anestesista in base ai protocolli vigenti.

Come si svolge l’intervento

Il chirurgo accede all’articolazione praticando una incisione sul lato anteriore del ginocchio; prosegue con l’artrotomia (incisione della capsula articolare) ed espone l’articolazione. Successivamente attraverso strumentario dedicato si eseguono con precisione i tagli femorali ed il taglio tibiale, resecando i capi articolari. In alcuni casi si esegue anche la preparazione della rotula resecando il lato articolare. A questo punto viene assemblata una protesi “di prova” per assicurarsi della congruità dei tagli e del buon bilanciamento del ginocchio. Se l’articolazione è stabile si rimuovono le componenti di prova e si posizionano quelle definitive: si cementano il piatto tibiale, la componente femorale e quella rotulea, infine si inserisce l’inserto. Si eseguono ulteriori prove di stabilità e se tutto è in ordine si procede alla sutura. (fig. 6, fig. 7)

fig. 6, artroprotesi totale del ginocchio con la rotula non protesizzata
fig. 7, artroprotesi totale del ginocchio con la rotula non protesizzata

Nella maggior parte dei casi le componenti vengono cementate ma possono essere inserite a pressione (press-fit) o con tecnica mista. Con la tecnica pres-fit subiranno il processo di osteo-integrazione.

Familiari

Familiari e amici possono rimanere nell’apposita area di attesa mentre il paziente è in sala operatoria; al termine dell’intervento il chirurgo informa i congiunti sulle condizioni generali del paziente e sull’intervento. Il paziente rimane per breve tempo nella sala di risveglio poi viene ricondotto nella stanza dove potrà ricevere le visite.

Dopo l’intervento

Per qualche giorno il paziente deve rimanere in ospedale dove è monitorato dai medici e dal personale infermieristico. I fisioterapisti lo istruiscono sulla corretta esecuzione di esercizi fisici volti a riacquistare il movimento. Il dolore post-operatorio è temporaneo. Alle dimissioni vengono fornite le indicazioni da seguire per una corretta riabilitazione dell’arto, ad esempio quali movimenti evitare, come sedersi, come scendere e salire le scale, inoltre viene prescritto un programma di esercizi da eseguire a casa o presso una struttura dedicata.

Con la ripresa delle attività quotidiane il paziente nota un progressivo aumento di forza e resistenza dell’arto; tuttavia nei primi tempi alcune attività devono essere evitate, ad esempio correre, sollevare pesi eccessivi, praticare sport di contatto. Sono invece consigliate attività a basso impatto sull’articolazione come il nuoto e la camminata, che vanno intraprese in accordo con il chirurgo.

Domande più frequenti

Quanto si rimane in ospedale?

In genere da 4 a 7 giorni dopo l’intervento ma dipende da molti fattori ed è il chirurgo a stabilire la durata della degenza.

Se il paziente vive solo avrà bisogno di un aiuto in casa?

Sì, è consigliabile l’aiuto di qualcuno per svolgere i lavori domestici più pesanti e per essere accompagnati in auto. Non è necessario personale specializzato, possono svolgere questi compiti una persona di famiglia o un amico, in grado di somministrare farmaci e tenere in ordine i bendaggi.

Quali ausili bisogna procurarsi in vista del ritorno a casa?

Un deambulatore o le stampelle. Il fisioterapista e il medico indirizzano verso l’una o l’altra soluzione valutando quale dei due ausili sia il più sicuro e per quanto tempo debba essere usato.

Dopo l’intervento è necessaria la fisioterapia?

Il programma personalizzato di riabilitazione, pianificato dal chirurgo e dal fisioterapista, inizia in ospedale subito dopo l’intervento e deve proseguire, a casa o presso una struttura dedicata, con l’esecuzione scrupolosa degli esercizi prescritti volti ad aumentare il ROM e la forza.

Quando si può riprendere a guidare?

Il paziente deve far riferimento al chirurgo per conoscere con precisione i tempi di recupero che sono legati alla tecnica chirurgica e al tipo di protesi, inoltre va valutato se l’intervento è stato eseguito all’arto destro o sinistro. Va considerato anche il tipo di auto guidata.

Quando si può tornare al lavoro?

I progressi conseguiti in fase riabilitativa e il tipo di lavoro sono fattori determinanti per stabilire quando rientrare: un lavoro pesante richiede tempi di recupero più lunghi rispetto a un impiego sedentario. Generalmente è necessario un periodo di riposo e cure da uno a tre mesi, in base al tipo di intervento, alle condizioni di salute del paziente ed alle attività che si dovranno riprendere.

Chirurgia del ginocchio in artroscopia

Artroscopio

L’artroscopia è una tecnica mini-invasiva di chirurgia ortopedica eseguibile con l’artroscopio, uno strumento a fibre ottiche di piccole dimensioni che consente di esplorare l’interno di una regione articolare e contemporaneamente di operare.

L’artroscopio è costituito da una sonda, per lunghezza e calibro paragonabile a una matita da disegno, dotata di lenti miniaturizzate poste sull’estremità che va inserita nella cavità articolare; la sonda illumina e filma l’interno dell’articolazione e restituisce le immagini ingrandite attraverso un monitor in tempo reale. Questo consente una ispezione dettagliata e rende possibili interventi chirurgici prima impensabili. In alcuni casi si ricorre all’artroscopia per effettuare diagnosi a supporto della chirurgia tradizionale.

Gli interventi chirurgici

L’accesso chirurgico in artroscopia si esegue attraverso piccole incisioni di circa un centimetro, solitamente una per l’introduzione dell’artroscopio, un’altra o due per introdurre gli strumenti chirurgici (palpatori, pinze, duckbill). Si infonde una soluzione fisiologica nell’articolazione che lava la sede ed espande l’interno permettendone l’esplorazione e si prosegue con il trattamento chirurgico che può richiedere dai trenta ai novanta minuti circa, in base alla sua complessità.

L’artroscopia, per la sua minima invasività, consente tempi brevi di esecuzione, minimo danno estetico e rapido recupero.

Gli interventi eseguibili con questa tecnica sono molteplici, i più praticati sono i trattamenti di lesioni meniscali e del legamento crociato anteriore.

Lesione del menisco

La lesione del menisco, mediale o laterale, è una patologia molto comune tra gli sportivi dovuta principalmente a traumi distorsivi; anche la meniscopatia degenerativa dovuta all’età o a patologie preesistenti e l’instabilità del ginocchio dovuta a lesioni e lassità dei legamenti, possono causare danni ai menischi.

I menischi, due in ogni ginocchio, sono importanti strutture di fibrocartilagine collocate tra il piatto tibiale e i condili femorali e con le loro proprietà biomeccaniche riducono lo stress sulla cartilagine.

La scelta dell’intervento chirurgico richiede la valutazione di importanti fattori tra cui gravità e sede della lesione, necessità funzionali, età del paziente, presenza di altre lesioni associate. Nel paziente anziano o poco attivo una adeguata fisioterapia, terapie conservative e una serie di accorgimenti possono risultare soddisfacenti ma quando la lesione è grave o il paziente è giovane e molto attivo può essere necessario ricorrere all’intervento chirurgico in tempi brevi.

In base alle dimensioni e alla sede della lesione il chirurgo esegue una sutura del menisco o una meniscectomia della porzione lesionata (selettiva) avendo cura di asportare la minima parte possibile. Durante l’intervento può accadere di dover rimuovere corpi mobili intra-articolari o trattare una lesione cartilaginea, rilevati con l’esplorazione artroscopica.

Il decorso post-operatorio

La tecnica artroscopica consente un rapido recupero ma con differenti tempistiche in base alla gravità, al tipo e alla sede della lesione trattata, all’età, al tipo di lavoro e di attività sportiva che si dovranno riprendere. È opportuno seguire un programma riabilitativo personalizzato che tenga conto di ogni fattore.

L’intervento di meniscectomia in genere permette la dimissione lo stesso giorno dell’intervento o il successivo; dopo circa 12-14 giorni si rimuovono i punti di sutura se applicati. Dopo la meniscectomia mediale in genere l’uso delle stampelle è consigliato per un paio di giorni ed entro tre settimane il recupero può essere completo. Invece la meniscectomia laterale richiede tempi più lunghi: mediamente 5/7 giorni per le stampelle, 30/50 giorni di recupero. I tempi per il rientro al lavoro possono variare: un lavoro sedentario può essere ripreso dopo pochi giorni, un’attività pesante richiede il completo recupero.

L’intervento di suturazione necessita di tempi di recupero lunghi: stampelle per circa 4 settimane e un periodo di 4/6 mesi per un recupero completo; il ritorno all’attività sportiva può richiedere 6 mesi.

Lesione del legamento crociato anteriore (lca)

La lesione del legamento crociato anteriore è molto comune tra gli sportivi di numerose discipline. La causa è il trauma: un colpo diretto al ginocchio o una distorsione grave. Tali lesioni sono riscontrate anche nella traumatologia stradale.

I due legamenti crociati, anteriore e posteriore, sono alloggiati all’interno del ginocchio e uniscono tibia e femore, costituiscono il cosiddetto “pivot centrale” (centro di rotazione) e la loro funzione stabilizzante limita il movimento della tibia rispetto al femore.

La lesione o rottura del legamento può essere parziale o totale; entrambi i casi prevedono la valutazione di importanti fattori per stabilire le modalità dell’intervento chirurgico: gravità e sede della lesione, livello di attività e aspettative del paziente, età, presenza di lesioni associate e/o lassità legamentosa. Il paziente giovane che desidera continuare a praticare sport agonistico ha bisogno di essere operato subito, mentre il paziente adulto o anziano con prospettive di limitata attività può anche aspettare, eccetto nei casi di lesioni importanti e quando l’instabilità articolare compromette le più semplici attività quotidiane come camminare, salire e scendere le scale. La lesione totale presenta indicazioni dirette per l’intervento in quanto la grave instabilità che ne consegue comporta lo sviluppo di artrosi precoce, oltre all’alto rischio di causare ulteriori traumi.

Prima dell’intervento è importante valutare l’opportunità di eseguire un programma di riabilitazione preoperatoria. L’intervento chirurgico più diffuso consiste nell’innesto di tessuto autologo prelevato dai tendini semitendinoso e gracile o dal tendine rotuleo; più raramente, nei casi che presentano rotture di più legamenti o negli interventi di revisione, può essere utilizzato un tendine di donatore (allograft). Il tessuto prelevato viene inserito nei tunnel ossei ricavati nel femore e nella tibia e ancorato mediante mezzi di sintesi in materiale riassorbibile; quando necessario, l’ancoraggio tibiale viene rinforzato con una piccola graffa metallica.

Il decorso post-operatorio

La tecnica artroscopica consente un rapido recupero ma con differenti tempistiche in base alla gravità, al tipo e alla sede della lesione trattata, all’età, al tipo di lavoro e di attività sportiva che si dovranno riprendere. È opportuno seguire un programma riabilitativo personalizzato che tenga conto di ogni fattore.

L’intervento di ricostruzione del legamento crociato anteriore generalmente permette la dimissione uno o due giorni dopo l’intervento; l’uso delle stampelle ha tempistiche diverse: sono consigliate dalle 2 alle 4 settimane. In alcuni casi è consigliato un tutore. Dopo circa 12-14 giorni si rimuovono i punti di sutura. Dopo 30 giorni circa si può riprendere a guidare. I tempi per il rientro al lavoro possono variare: riprendere un lavoro sedentario può richiedere tre settimane mentre per un’attività pesante sono necessari 2 o 3 mesi di recupero. Riprendere l’attività sportiva può richiedere 5 o 6 mesi.

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